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“
Rendimi i miei capelli
Rendimi i miei capelli,
non portarli con te nelle tue pene,
inebriami di baci, come statua
che abbia compiuto musiche maggiori.
O coscia del destino semiaperto,
lascia che ti ricami una chimera
sull'avambraccio
prima che la follia del tempo
divori le caviglie.
Sei nata donna
ma tu sei così oscura
come tranello in cui tema il piede
di orizzontarsi. Sei la mia dimora,
la dimora traslata dalle vigne
che fa tacere anche il pavimento.
”
Alda Merini
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“
Mare
M’affaccio alla finestra, e vedo il mare:
vanno le stelle, tremolano l’onde.
Vedo stelle passare, onde passare:
un guizzo chiama, un palpito risponde.
Ecco sospira l’acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d’argento.
Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto e dove meni?
”
Giovanni Pascoli
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“
La vecchiaia (è questo il nome che gli altri le danno)
può essere il tempo della nostra felicità.
L'animale è morto o è quasi morto.
Rimangono l'uomo e la sua anima.
Vivo tra forme luminose e vaghe
che non sono ancora le tenebre.
Buenos Aires,
che prima si lacerava in suburbi
verso la pianura incessante,
è diventata di nuovo la Recoleta, il Retiro,
le sfocate case dell'Once
e le precarie e vecchie case
che chiamiamo ancora il Sur.
Nella mia vita sono sempre state troppe le cose;
Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare;
il tempo è stato il mio Democrito.
Questa penombra è lenta e non fa male;
scorre per un mite pendio
e assomiglia all'eternità.
I miei amici non hanno volto,
le donne sono quel che erano molti anni fa,
gli incroci delle strade potrebbero essere altri,
non ci sono lettere sulle pagine dei libri.
Tutto questo dovrebbe intimorirmi,
ma è una dolcezza, un ritorno.
Delle generazioni di testi che ci sono sulla terra
ne avrò letti solo alcuni,
quelli che continuo a leggere nella memoria,
a leggere e a trasformare.
Dal Sud, dall'Est, dall'Ovest, dal Nord,
convergono i cammini che mi hanno portato
nel mio segreto centro.
Quei cammini furono echi e passi,
donne, uomini, agonie, resurrezioni,
giorni e notti,
dormiveglia e sogni,
ogni infimo istante dello ieri
e di tutti gli ieri del mondo,
la ferma spada del danese e la luna del persiano,
gli atti dei morti, il condiviso amore, le parole,
Emerson e la neve e tante cose.
Adesso posso dimenticarle. Arrivo al mio centro,
alla mia algebra, alla mia chiave,
al mio specchio.
Presto saprò chi sono.
”
Democrito
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“
E prego Dio che abbia pietà di noi
E prego di poter dimenticare
Queste cose che troppo
Discuto con me stesso e troppo spiego
Poi che non spero più di ritornare
Queste parole possano rispondere
Di ciò che è fatto e non si farà più
Verso di noi il giudizio non sia troppo severo.
”
T. S. Eliot
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“
Quando miro in ciel arder le stelle;
dico fra me pensando: a che tante facelle?
Ed io che sono?
”
Giacomo Leopardi
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“
Maledetta notte degli effimeri piaceri
quando il mio ventre concepì questa espiazione!
”
Charles Baudelaire
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“
Così io, ombra delicata e fiori
di velo ricoperti
tra marmi antichi e divorate chiome
svolgo il mio passo acceso alle veggenti
distese d'erba e anche al tuo passato.
”
Alda Merini
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239 click
“
Tre fiammiferi
Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L’ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo fra le braccia
”
Jacques Prevert
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237 click
“
Ti manderò un bacio con il vento
e so che lo sentirai,
ti volterai senza vedermi ma io sarò li
Siamo fatti della stessa materia
di cui sono fatti i sogni
Vorrei essere una nuvola bianca
in un cielo infinito
per seguirti ovunque e amarti ogni istante
Se sei un sogno non svegliarmi
Vorrei vivere nel tuo respiro
Mentre ti guardo muoio per te
Il tuo sogno sarà di sognare me
Ti amo perché ti vedo riflessa
in tutto quello che c'è di bello
Dimmi dove sei stanotte
ancora nei miei sogni?
Ho sentito una carezza sul viso
arrivare fino al cuore
Vorrei arrivare fino al cielo
e con i raggi del sole scriverti ti amo
Vorrei che il vento soffiasse ogni giorno
tra i tuoi capelli,
per poter sentire anche da lontano
il tuo profumo!
Vorrei fare con te quello
che la primavera fa con i ciliegi.
”
Pablo Neruda
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231 click
“
E' ormai sparita la città
Come procede l’orologio senza fretta
con tale sicurezza che si divora gli anni:
i giorni sono piccoli e fugaci chicchi d’uva,
i mesi si stingono staccati dal tempo.
Se ne va, torna indietro il minuto, sparato
dalla più impassibile artiglieria
e all’improvviso ci resta solo un anno per andarcene,
un mese, un giorno, e giunge la morte al calendario.
Nessuno ha potuto fermare l’acqua che fugge,
non ha indugiato con l’amore o col pensiero,
ha continuato, ha continuato a correre tra il sole e gli esseri,
e ci ha ucciso la sua strofa passeggera.
Finché, infine, cadiamo nel tempo, distesi,
e ci porta via, e ormai siamo spariti, morti,
trascinati senza esistenza, fino a non essere più neppure ombra,
né polvere, né parola, e lì finisce tutto
e nella città in cui più non vivremo
sono rimasti vuoti gli abiti e l’orgoglio.
”
Pablo Neruda
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221 click
“
La cosa più superba è la notte
quando cadono gli ultimi spaventi
e l'anima si getta l'avventura.
”
Alda Merini
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220 click
“
I giorni sono sempre più brevi
I giorni sono sempre più brevi
le piogge cominceranno.
La mia porta, spalancata, ti ha atteso.
Perché hai tardato tanto?
Sul mio tavolo, dei peperoni verdi, del sale, del pane.
Il vino che avevo conservato nella brocca
l'ho bevuto a metà, da solo, aspettando.
Perché hai tardato tanto?
Ma ecco sui rami, maturi, profondi
dei frutti carichi di miele.
Stavano per cadere senza essere colti
se tu avessi tardato ancora un poco.
”
Nazim Hikmet
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“
Maestrale
S'è rifatta la calma
nell'aria: tra gli scogli parlotta la maretta.
Sulla costa quietata, nei broli, qualche palma
a pena svetta.
Una carezza disfiora
la linea del mare e la scompiglia
un attimo, soffio lieve che vi s'infrange e ancora
il cammino ripiglia.
Lameggia nella chiaria
la vasta distesa, s'increspa, indi si spiana beata
e specchia nel suo cuore vasto codesta povera mia
vita turbata.
O mio tronco che additi,
in questa ebrietudine tarda,
ogni rinato aspetto coi germogli fioriti
sulle tue mani, guarda:
sotto l'azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:
" più in là "!
”
Eugenio Montale
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“
La famiglia Punto e virgola
C’era una volta un punto
e c’era anche una virgola:
erano tanto amici,
si sposarono e furono felici.
Di notte e di giorno
andavano intorno
sempre a braccetto:
“Che coppia modello”
la gente diceva
“che vera meraviglia
la famiglia Punto-e-virgola”.
Al loro passaggio
in segno di omaggio
perfino le maiuscole
diventavano minuscole:
e se qualcuna, poi,
a inchinarsi non è lesta
la matita del maestro
le taglia la testa.
”
Gianni Rodari
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“
Settembre
Si chiudono le porte
sulle grandi estati,
si fanno più silenziose
le strade del cuore.
Tutto sembra morire
in un autunno precoce,
ma è solo un dolce riposo
della terra.
È il tempo in cui si pensa
ai viaggi impossibili
in paesi mai visti
e pure tanto amati.
E la vita pare un racconto
di sogni e di spazi
che ha il volto della speranza
e il corpo della solitudine.
Significato: In "Settembre", Merini tocca il tema del cambiamento delle stagioni come metafora per i cambiamenti interiori, unendo malinconia e speranza in un delicato equilibrio emotivo.
”
Alda Merini
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“
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d'orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com'è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
”
Eugenio Montale
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“
Il fiore perduto
La fiamma sola
del focolare blu
ci tremola la fola,
ora che quel campo laggiù
ha voluto la nonna:
oh quel campo stillato
di lacrime verdi di salici,
sonnacchioso di arcigni cipressi!
Gocciola di tanti fiori;
ha voluto anche il nostro:
– cattivo! –
Forse perché era d’argento?
Ma quanti fiori di rubino
e d’oro pensosi vivono fra le aiuole
stellate di piccole viole?
C’è sola
la fiamma che ora
ci tremola la fola,
ne le notti ingemmate
di gingilli
d’argento
fiorita di tremuli trilli
d’usignoli
ne le notti flagellate
di frustate
di vento.
”
Pablo Neruda
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“
PRIMA SERATA
Lei era assai svestita
e i grandi alberi indiscreti
buttavano sui vetri il loro fogliame
maliziosamente, vicino, vicino.
Seduta sulla mia grande sedia,
seminuda, incrociava le mani.
Sul pavimento rabbrividivano senza disagio
i suoi piedini minuti, minuti.- Io guardavo, color della cera,
un piccolo raggio fuggiasco
svolazzare sul suo sorriso
e sui suoi seni, - mosca sul rosaio.- Io baciavo le sue caviglie fini.
Lei un dolce riso brutale
che s’allungava in trilli luminosi,
un riso amabile di cristallo.
I piedini sotto la camicia
Trovarono scampo: “La fai finita!”- La prima audacia concessa,
il riso fingeva di punire!
- Sommessi palpitanti sul mio labbro,
io baciavo i suoi occhi dolcemente:- lei ritirò la sua testolina
indietro: “Oh! è meglio ancora!…
signorino, ho due parole da dirti…”- il resto io glielo gettai sul seno
con un bacio, che la fece ridere
di un riso quieto, compiacente…- Lei era assai svestita
e i grandi alberi indiscreti
buttavano sui vetri il loro fogliame
maliziosamente, vicino, vicino.
”
Arthur Rimbaud
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“
La loro morte copre uno spazio immenso, | in esso uomini d'ogni terra | non dimenticano Marzabotto | il suo feroce evo | di barbarie contemporanea.
”
Salvatore Quasimodo
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“
Vacanze di metà trimestre
Rimasi tutta la mattina nell’infermeria della scuola
a contare le campanelle che annunciavano la fine di ogni ora.
Alle due vennero i nostri vicini a portarmi a casa.
Nel portico trovai mio padre che piangeva
lui che aveva sempre affrontato bene i funerali
e Big Jim Evans che diceva che era un duro colpo.
Quando entrai il piccolo ciangottò e rise e scosse
la carrozzina, e con mio imbarazzo
alcuni vecchi si alzarono e vennero a stringermi la mano
dicendosi «rattristati dalla mia pena».
Fu bisbigliato agli estranei che ero il più grande,
che ero in collegio, e mia madre mi teneva la mano
nella sua e cacciava sospiri rabbiosi e asciutti.
Alle dieci arrivò l’ambulanza
con la salma, tamponata e fasciata dalle infermiere.
La mattina dopo salii in camera. Bucaneve
e candele rasserenavano il capezzale; lo vedevo
per la prima volta dopo sei settimane. Più pallido ora,
con un livido papavero alla tempia sinistra,
giaceva nella piccola bara come nel suo lettino.
Nessuna ferita vistosa, il paraurti l’aveva scagliato lontano.
Quattro piedi di bara, uno per ogni anno.
”
Seamus Heaney
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