
Cos'è il TFA e perché è pericoloso?
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Se ne parla sempre di più, spesso senza sapere davvero di cosa si tratti. Anche nelle acque minerali imbottigliate di alcune marche, sono state trovate delle tracce di TFA, e la questione ha sollevato un certo allarme.
Stiamo parlando dell’acido trifluoroacetico, un composto chimico piuttosto discusso, utilizzato in ambito industriale e di ricerca. Il suo nome scientifico completo suona più tecnico, ma vale la pena capire cosa fa e soprattutto perché crea preoccupazione.
Cos’è, esattamente?
L’acido trifluoroacetico, spesso abbreviato in TFA, è un liquido trasparente e corrosivo. Viene impiegato soprattutto nei laboratori come reagente in molte reazioni chimiche. Dal punto di vista tecnico, funziona bene: è stabile, efficace, resiste alla degradazione. Ma è proprio questo il problema.
Infatti, non si degrada facilmente. Una volta disperso nell’ambiente, tende a restarci per anni. Anche decenni, in certi casi. E questo lo rende un elemento difficile da gestire, perché non si tratta solo di eliminarlo: si accumula.
Dove si trova, e come ci arriva?
Il TFA può finire nell’ambiente sia direttamente che in modo indiretto. Alcuni pesticidi e refrigeranti, per esempio, rilasciano il TFA come sottoprodotto. Oppure lo si trova nelle acque reflue di certi processi industriali. La sua presenza è stata rilevata persino in zone dove non dovrebbe esserci, come in alcune falde acquifere o nelle piogge.
E il fatto è che basta pochissimo per modificarne l’equilibrio. Anche a basse concentrazioni può alterare il pH di un ambiente acquatico, danneggiando piante, alghe e microorganismi. Non ci sono ancora prove di effetti diretti e gravi sull’uomo, ma il punto è che non si sa ancora tutto.
È pericoloso davvero?
Dipende, è considerato pericoloso a causa della sua persistenza ambientale. Non sparisce. E se continua ad accumularsi nel tempo, può diventare un rischio per gli ecosistemi.
Cosa si può fare, nel concreto?
Chi lavora nei settori industriali ha già iniziato a cercare alternative. Ma la transizione è lenta, e serve consapevolezza anche da parte delle persone comuni. Non si tratta di lanciare allarmi, ma di capire che certi prodotti di uso quotidiano (detergenti, pesticidi, spray tecnici) possono contenere sostanze che poi, nel tempo, diventano parte del problema.
Al momento, il TFA non è ancora regolato in modo forte come altri fluorurati. Ma alcune consultazioni europee sono in corso e potrebbero cambiare presto le cose. Intanto, monitoraggi più frequenti aiuterebbero ad avere un quadro più chiaro.
Altre domande e curiosità
Quali malattie provoca il TFA?
Studi suggeriscono che il TFA potrebbe influire sul fegato e sullo sviluppo embrionale. Alcuni esperimenti su animali hanno mostrato effetti sulla fertilità.
Il TFA si accumula nel nostro corpo?
Sembra di no, almeno non come altri PFAS. È molto solubile e viene espulso abbastanza facilmente. Ma è così presente ovunque che l’esposizione è continua, quindi il rischio non è da sottovalutare.
È vero che il TFA si trova anche nella frutta?
Sì, è stato rilevato in alcuni alimenti, come kiwi e verdure a foglia. Le quantità sono basse, ma la sua presenza mostra quanto sia diffuso nell’ambiente.
Come arriva il TFA nell’acqua minerale?
Può derivare da pesticidi o gas fluorurati che si degradano e finiscono nelle falde acquifere.
Il TFA può essere filtrato dall’acqua di casa?
I filtri comuni non lo eliminano del tutto. Tecnologie come l’osmosi inversa o filtri a carbone attivo modificato sono più efficaci.
Ci sono limiti di legge per il TFA nell’acqua?
Alcuni Paesi europei stanno iniziando a fissare dei limiti, ma manca una normativa uniforme. L’UE prevede di introdurre regole più chiare in futuro.
Stiamo parlando dell’acido trifluoroacetico, un composto chimico piuttosto discusso, utilizzato in ambito industriale e di ricerca. Il suo nome scientifico completo suona più tecnico, ma vale la pena capire cosa fa e soprattutto perché crea preoccupazione.
Cos’è, esattamente?
L’acido trifluoroacetico, spesso abbreviato in TFA, è un liquido trasparente e corrosivo. Viene impiegato soprattutto nei laboratori come reagente in molte reazioni chimiche. Dal punto di vista tecnico, funziona bene: è stabile, efficace, resiste alla degradazione. Ma è proprio questo il problema.
Infatti, non si degrada facilmente. Una volta disperso nell’ambiente, tende a restarci per anni. Anche decenni, in certi casi. E questo lo rende un elemento difficile da gestire, perché non si tratta solo di eliminarlo: si accumula.
Dove si trova, e come ci arriva?
Il TFA può finire nell’ambiente sia direttamente che in modo indiretto. Alcuni pesticidi e refrigeranti, per esempio, rilasciano il TFA come sottoprodotto. Oppure lo si trova nelle acque reflue di certi processi industriali. La sua presenza è stata rilevata persino in zone dove non dovrebbe esserci, come in alcune falde acquifere o nelle piogge.
E il fatto è che basta pochissimo per modificarne l’equilibrio. Anche a basse concentrazioni può alterare il pH di un ambiente acquatico, danneggiando piante, alghe e microorganismi. Non ci sono ancora prove di effetti diretti e gravi sull’uomo, ma il punto è che non si sa ancora tutto.
È pericoloso davvero?
Dipende, è considerato pericoloso a causa della sua persistenza ambientale. Non sparisce. E se continua ad accumularsi nel tempo, può diventare un rischio per gli ecosistemi.
Alcuni studi recenti dell’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche suggeriscono che il TFA, pur non essendo il più tossico fra i fluorurati, possa contribuire all’acidificazione di suolo e acqua dolce. In più, la sua presenza rende più difficile il lavoro di depurazione degli impianti idrici.
Cosa si può fare, nel concreto?
Chi lavora nei settori industriali ha già iniziato a cercare alternative. Ma la transizione è lenta, e serve consapevolezza anche da parte delle persone comuni. Non si tratta di lanciare allarmi, ma di capire che certi prodotti di uso quotidiano (detergenti, pesticidi, spray tecnici) possono contenere sostanze che poi, nel tempo, diventano parte del problema.
Al momento, il TFA non è ancora regolato in modo forte come altri fluorurati. Ma alcune consultazioni europee sono in corso e potrebbero cambiare presto le cose. Intanto, monitoraggi più frequenti aiuterebbero ad avere un quadro più chiaro.

Quali malattie provoca il TFA?
Studi suggeriscono che il TFA potrebbe influire sul fegato e sullo sviluppo embrionale. Alcuni esperimenti su animali hanno mostrato effetti sulla fertilità.
Il TFA si accumula nel nostro corpo?
Sembra di no, almeno non come altri PFAS. È molto solubile e viene espulso abbastanza facilmente. Ma è così presente ovunque che l’esposizione è continua, quindi il rischio non è da sottovalutare.
È vero che il TFA si trova anche nella frutta?
Sì, è stato rilevato in alcuni alimenti, come kiwi e verdure a foglia. Le quantità sono basse, ma la sua presenza mostra quanto sia diffuso nell’ambiente.
Come arriva il TFA nell’acqua minerale?
Può derivare da pesticidi o gas fluorurati che si degradano e finiscono nelle falde acquifere.
Il TFA può essere filtrato dall’acqua di casa?
I filtri comuni non lo eliminano del tutto. Tecnologie come l’osmosi inversa o filtri a carbone attivo modificato sono più efficaci.
Ci sono limiti di legge per il TFA nell’acqua?
Alcuni Paesi europei stanno iniziando a fissare dei limiti, ma manca una normativa uniforme. L’UE prevede di introdurre regole più chiare in futuro.
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