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Giacomo Leopardi: Poeta, scrittore e filosofo

Nascita: Recanati (Macerata) il 29/06/1798data morte il 14/06/1837
Lic.foto: Pubblico dominio
Primo di dieci fratelli e di famiglia nobile, mentre riceve una prima formazione ecclesiastica da due precettori, prosegue gli studi da autodidatta frequentando assiduamente varie biblioteche, tra cui quella paterna, dove apprende il latino, l'ebraico e il greco. Le sue costanti attenzioni letterarie si concentrano dapprima sulle opere classiche, eseguendo traduzioni di autori come Mosco ed Esiodo, per poi trasformarsi completamente a partire dal 1815 quando, profondamente afflitto dalla depressione e da alcuni disturbi fisici, si rifugia nella lettura dei grandi interpreti del romanticismo, decidendo di dedicarsi principalmente alla poesia. Circa quattro anni dopo nascono alcune delle sue più celebri opere: liriche come “L'infinito”e “Alla luna”, che costituiscono i cosiddetti “piccoli idilli”. A partire dal 1822 soggiorna per circa un anno a Roma, esperienza da cui resterà profondamente deluso e che lo porterà a spostarsi per lavoro a Bologna, Milano, Firenze e Pisa, dove, nel 1827 scrive “A Silvia”, uno dei canti per cui Leopardi è ricordato come il più grande poeta dell'Ottocento, nonché del panorama letterario mondiale. Non solo autore ma filosofo, che con le sue riflessioni sull'esistenza umana, viene annoverato anche tra gli anticipatori della corrente esistenzialista.

 📚 Nome Giacomo 

170 FRASI E CITAZIONI DI GIACOMO LEOPARDI
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 Ridere fa bene

Giacomo Leopardi  

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La sera del dì di festa
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m'affaccio,
E l'antica natura onnipossente,
Che mi fece all'affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da' trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già, ch'io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell'artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov'è il suono
Di que' popoli antichi? or dov'è il grido
De' nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
Che n'andò per la terra e l'oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s'aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s'udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.

Giacomo Leopardi  

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