
Come si inizia e si chiude una mail o messaggio in inglese?

Qual è il modo giusto per dare il benvenuto in inglese in un messaggio?
Scrivere una mail o un messaggio in inglese, anche uno semplice, mette sempre quella specie di esitazione. Soprattutto all’inizio e alla fine. Il cuore della frase magari lo sai, le parole le hai lì, quasi pronte, ma poi ti blocchi su come cominciare. O su come chiudere, che a volte è anche peggio. Perché? Perché “Hello” va bene, sì, ma non sempre. E “Regards”? Uhm. Troppo piatto, dipende. Il tono cambia tutto, e si sente.
Hi, Dear, Hello… quale scegliere?
C’è chi parte subito con un “Hi” e chi invece ci gira intorno, con un “Dear” più neutro, che suona educato ma anche un po’... spento, se non lo maneggi bene. Il punto è che in inglese ogni apertura ha un suo modo di farti entrare. “Hi John” è amichevole, diretto, ma richiede un minimo di confidenza. “Hello” è più pulito, più controllato. “Hey” è più sciolto, quasi da chat, e funziona solo se dall’altra parte c’è qualcuno che sta al gioco.
Dare il benvenuto
Poi c’è quel passaggio più raro, ma bello: dare il benvenuto. Se ti capita di dover accogliere qualcuno in un gruppo, o in una comunità online, o anche solo su un progetto, allora serve qualcosa che suoni vero. “Welcome on board!” è la più classica, ma se lo dici di getto, senza infiocchettarlo, può ancora funzionare. A volte basta un “Glad to have you with us” e ti togli dall’imbarazzo. Oppure no, a volte resti lì a pensarci comunque. Sennò, si scivola nella noia dei messaggi-fotocopia. Tipo quelli che sembrano scritti col pilota automatico.
I saluti finali
Ma è quando si arriva in fondo che iniziano le incertezze peggiori. Chi scrive “Regards” crede di stare sul sicuro. Ma diciamolo: è un po’... insapore. “Best regards” prova ad aggiustare il tiro. “Kind regards” suona gentile, sì, ma può risultare forzato se il resto della mail è freddino. E poi c’è chi chiude con “Thanks”, così, secco. Che va bene ovviamente se hai chiesto qualcosa.
I saluti ambigui
Ci sono saluti che sembrano perfetti e invece... no. Tipo “Cheers”, che va benissimo tra colleghi informali, ma può diventare un disastro se lo mandi a un professore o a un cliente inglese che ha ancora il maglione sulle spalle anche a Ferragosto. E “Take care”? Bello, affettuoso, ma bisogna saperlo dosare. Se lo usi troppo spesso, perde forza. Se lo metti alla fine di un messaggio teso, pare una contraddizione. Un po’ come dire “stammi bene” dopo un litigio.
Formule classiche
Un’altra trappola? Le formule incollate in fondo, tipo “Sincerely yours” o “Faithfully”. Ancora resistono, nei moduli ufficiali o nelle lettere old style. Ma nel quotidiano, oggi, sembrano una parrucca troppo ben pettinata. Eppure, ogni tanto tornano utili. Quando non sai che dire, quando ti serve sembrare formale senza doverlo giustificare. Succede, sì.
Prendiamo l’inizio. Un semplice “Hi” funziona? Dipende da chi hai davanti.
Hi Emma,
Ciao Emma,
Semplice, diretto. Va bene tra colleghi, tra contatti che già conosci. Ma non lo useresti per scrivere al tuo nuovo datore di lavoro. A quel punto, meglio restare su un più composto: Dear Mr. Thompson,
Gentile Sig. Thompson,
E se non sai il nome? Succede spesso. In quel caso si usano formule un po’ impersonali, ma ancora accettate: To whom it may concern,
A chi di competenza,
Ma se vuoi qualcosa di più morbido, meno da sportello INPS, puoi tentare: Hello, Salve,
Quando devi dare il benvenuto, la frase conta doppio. Non serve un poema, ma nemmeno un copia e incolla sterile. Welcome aboard! Benvenuto a bordo!
Più personale, invece: We’re really happy to have you with us.
Siamo davvero felici di averti con noi.
Passiamo alle chiusure, il campo minato. “Regards” lo usano in tanti, ma resta freddino.
Regards, Cordiali saluti,
Vuoi sembrare più gentile? Aggiungi un tocco: Kind regards, Cordialmente,
O una sfumatura più calda: Best regards, Distinti saluti,
Se invece hai fatto una richiesta e vuoi mostrare riconoscenza: Thanks in advance, Grazie in anticipo,
E per i casi più distesi: Take care, Abbi cura di te,
All the best, Ti auguro il meglio,
Una originale e sottovalutata? Quella chiusura sospesa, senza saluto. Tipo: Let me know what you think, Fammi sapere cosa ne pensi.
Hi, Dear, Hello… quale scegliere?
C’è chi parte subito con un “Hi” e chi invece ci gira intorno, con un “Dear” più neutro, che suona educato ma anche un po’... spento, se non lo maneggi bene. Il punto è che in inglese ogni apertura ha un suo modo di farti entrare. “Hi John” è amichevole, diretto, ma richiede un minimo di confidenza. “Hello” è più pulito, più controllato. “Hey” è più sciolto, quasi da chat, e funziona solo se dall’altra parte c’è qualcuno che sta al gioco.
Dare il benvenuto
Poi c’è quel passaggio più raro, ma bello: dare il benvenuto. Se ti capita di dover accogliere qualcuno in un gruppo, o in una comunità online, o anche solo su un progetto, allora serve qualcosa che suoni vero. “Welcome on board!” è la più classica, ma se lo dici di getto, senza infiocchettarlo, può ancora funzionare. A volte basta un “Glad to have you with us” e ti togli dall’imbarazzo. Oppure no, a volte resti lì a pensarci comunque. Sennò, si scivola nella noia dei messaggi-fotocopia. Tipo quelli che sembrano scritti col pilota automatico.
I saluti finali
Ma è quando si arriva in fondo che iniziano le incertezze peggiori. Chi scrive “Regards” crede di stare sul sicuro. Ma diciamolo: è un po’... insapore. “Best regards” prova ad aggiustare il tiro. “Kind regards” suona gentile, sì, ma può risultare forzato se il resto della mail è freddino. E poi c’è chi chiude con “Thanks”, così, secco. Che va bene ovviamente se hai chiesto qualcosa.
I saluti ambigui
Ci sono saluti che sembrano perfetti e invece... no. Tipo “Cheers”, che va benissimo tra colleghi informali, ma può diventare un disastro se lo mandi a un professore o a un cliente inglese che ha ancora il maglione sulle spalle anche a Ferragosto. E “Take care”? Bello, affettuoso, ma bisogna saperlo dosare. Se lo usi troppo spesso, perde forza. Se lo metti alla fine di un messaggio teso, pare una contraddizione. Un po’ come dire “stammi bene” dopo un litigio.
Formule classiche
Un’altra trappola? Le formule incollate in fondo, tipo “Sincerely yours” o “Faithfully”. Ancora resistono, nei moduli ufficiali o nelle lettere old style. Ma nel quotidiano, oggi, sembrano una parrucca troppo ben pettinata. Eppure, ogni tanto tornano utili. Quando non sai che dire, quando ti serve sembrare formale senza doverlo giustificare. Succede, sì.
Ecco alcuni esempi concreti:
Prendiamo l’inizio. Un semplice “Hi” funziona? Dipende da chi hai davanti.
Hi Emma,
Ciao Emma,
Semplice, diretto. Va bene tra colleghi, tra contatti che già conosci. Ma non lo useresti per scrivere al tuo nuovo datore di lavoro. A quel punto, meglio restare su un più composto: Dear Mr. Thompson,
Gentile Sig. Thompson,
E se non sai il nome? Succede spesso. In quel caso si usano formule un po’ impersonali, ma ancora accettate: To whom it may concern,
A chi di competenza,
Ma se vuoi qualcosa di più morbido, meno da sportello INPS, puoi tentare: Hello, Salve,
Quando devi dare il benvenuto, la frase conta doppio. Non serve un poema, ma nemmeno un copia e incolla sterile. Welcome aboard! Benvenuto a bordo!
Più personale, invece: We’re really happy to have you with us.
Siamo davvero felici di averti con noi.
Passiamo alle chiusure, il campo minato. “Regards” lo usano in tanti, ma resta freddino.
Regards, Cordiali saluti,
Vuoi sembrare più gentile? Aggiungi un tocco: Kind regards, Cordialmente,
O una sfumatura più calda: Best regards, Distinti saluti,
Se invece hai fatto una richiesta e vuoi mostrare riconoscenza: Thanks in advance, Grazie in anticipo,
E per i casi più distesi: Take care, Abbi cura di te,
All the best, Ti auguro il meglio,
Una originale e sottovalutata? Quella chiusura sospesa, senza saluto. Tipo: Let me know what you think, Fammi sapere cosa ne pensi.
Tag: Inglese Grammatica
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